Beppe e gli effetti del patriarcato

Disclaimer:in questo testo ci sono parolacce. E questa è la seconda volta che lo pubblico.

La mia avversione per questo personaggio è ormai nota ai più. Ma le sue ultime cazzate sono state la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. Avrete visto tutti il video dove lui, dall’alto della sua condizione di uomo bianco privilegiato, si sfoga parlando di suo figlio e dell’accusa di stupro di gruppo nei confronti di una giovane donna. Ecco: Grillo attraverso il suo sfogo ci fornisce l’esempio clinico di maschilismo figlio del patriarcato.

In questo video banalizza la vicenda e colpevolizza la vittima.

“Una persona che viene stuprata la mattina, il pomeriggio va in kite surf e dopo otto giorni fa la denuncia, non vi sembra strano?”

“so’ ragazzi, sono quattro coglioni non quattro stupratori”.

Caro Grillo, banalizzare la vicenda declassandola a “ragazzata” alimenta la cultura dello stupro. La violenza nei confronti di questa persona sta continuando nella tua tendenza a ridicolizzare l’accaduto, nell’atto di ridimensionarlo e di colpevolizzare la vittima.

 

Ti puoi rendere conto di aver subito violenza anche a distanza di anni. Il tuo cervello mette in atto modi per proteggerti che sono quelli del “non è successo niente”, perché altrimenti ci stai male. Quindi puoi renderti conto della violenza quando sei pronto a rendertene conto. Inferiorità psicologica. Quando sei in una determinata situazione è difficile riflettere con lucidità e sei portato ad agire in un determinato modo. Che tu stia agendo male o che stia subendo violenza in quel determinato momento non te ne rendi conto. E puoi anche non rendertene conto per parecchio tempo. Il tuo cervello, per preservare la tua “salute mentale”, può suggerirti che vada tutto bene, che è meglio andare in spiaggia, meglio non pensarci.

 

Il problema è che in Italia non esiste cultura della violenza. Cos’è violenza? Uno schiaffo? Uno stupro forzato del tipo ti tengo con forza e te lo metto in c*lo? Non si concepisce violenza anche quella data dalla pressione di certe situazioni in cui non vuoi prenderlo in c*lo ma finisci col prendercelo. In quel momento il tuo cervello ti salva dall’umiliazione, dal dolore di aver subito violenza. E allo stesso tempo il cervello salva anche la persona che sta facendo violenza. Non era violenza? Sì, sì, era violenza.

Ho sentito dire – da donne – “non ci arrivi ad un certo punto, se non lo vuoi”. In quel momento non ci pensi, in quel momento il tuo cervello ti salva. Il tuo cervello non sta lì a farti capire che sì, anche se in un certo senso sei eccitato, non dovresti sottostare a tutto perché significa che stai subendo violenza. “Se una cosa ti dà fastidio, alzati e vattene” non è una cosa fattibile in quel determinato momento. Quindi se io mi trovo in un momento di eccitazione e poi d’un tratto mi ritrovo un pis*llo in bocca senza che ci abbia riflettuto più di tanto, può non essere una cosa consenziente, e se non è consenziente, è violenza. Come fai a dire, da un video, se una cosa è o non è consenziente, se nemmeno il cervello di quella persone, in quel determinato momento, ne è sicuro? Come cazzo fai a dirlo?

E tu non lo sai, sai perché? Perché questa stessa cultura che ti fa dire queste cose abominevoli è la stessa che ti insegna – a te in quanto maschio – a non indagare sulle tue emozioni, a non sviscerarle, a imbottigliarle e lasciarle lì a marcire. E questo è degradante. Chissà, caro Beppe, quante volte hai subito violenza e non te ne sei reso conto, perché la cultura nella quale siamo imprigionati non contempla l’essere debole, l’essere vittima.

E come dico sempre e non mi stancherò mai di dirlo: se c’è solo una persona che punto il dito verso un problema, vuol dire che quel problema c’è, esiste e non va sminuito. Prendiamone atto e impariamo a capire che cos’è “violenza”.